S ono sette i consigli che volevo dare alle imprese agroalimentari (e non) che vogliono iniziare ad esportare all’estero, e che, in base alla mia esperienza nel settore alimentare nell’ambito della commercializzazione globale, potrebbero trarre vantaggio nel conoscere queste buone pratiche, generalmente ritenute valide. Ecco i 7 aspetti che non devono essere tralasciati e cosa occorre fare.
- Valutazione preliminare dell’azienda nella sua globalità, intenso in senso strategico. Ovvero, riflettete bene sul fatto se conviene o meno esportare all’estero, perché non sempre è una buona scelta e neanche è obbligatorio farlo solo perché si sente dire che sia remunerativo. Chiedetevi: “il mercato a cui voglio vendere il mio prodotto, è interessante nell’ottica del medio e lungo periodo?” Questo occorre valutarlo anche a fronte degli investimenti che probabilmente dovrò fare per adeguare l’organizzazione aziendale e la sua infrastruttura al nuovo mercato.
- Valutazione del prodotto in sé. Questo aspetto deve essere considerato in relazione al falso mito del Made in Italy. Mi riferisco alla credenza che, siccome il nostro prodotto è Made in Italy, allora si vende da solo. Questo non è assolutamente vero.Non c’è questa correlazione diretta. Anche in questo caso, occorre affrontare con impegno e pianificazione il nuovo mercato. Spesso va ripensato il packaging o il modo di presentare il prodotto per adeguarlo ai nuovi clienti.
- Valutazione del ritorno degli investimenti in termini di tempo. Occorre considerare che gli investimenti fatti per l’acquisizione di un nuovo mercato, come quello estero, necessitano di un determinato lasso di tempo per poterne apprezzare i risultati. Per questa ragione consiglio di tener bene in mente il fattore tempo in ottica di fluidità di cassa, aspettative e pianificazione.
- Organizzazione delle risorse aziendale e umane. Un altro aspetto importante, specie perché viene spesso sottovalutato, è la valutazione attenta in merito all’eventuale e probabile adeguamento delle risorse aziendali, intese sia come infrastruttura che come risorse umane. Su quest’ultimo aspetto voglio sottolineare che non è sufficiente avere qualcuno in azienda che conosca semplicemente la lingua straniera utile ai fini dell’esportazione, ma occorrono risorse qualificate per poter dialogare con il mercato di riferimento. Troppo spesso si fa l’errore di “prendere lo stagista” con l’inglese e pensare di aver risolto tutto. Non è così! La figura del commerciale estero, deve essere una figura qualificata.
- Valutazione degli investimenti in Marketing e Promozione. In genere, la voce di spesa più alta in termini di investimento è rappresentata (o dovrebbe esserlo) dagli investimenti in promozione e marketing, inteso come l’insieme di attività per farsi conoscere all’estero e per crearsi il nuovo mercato.
- Logistica. Un altro aspetto determinante nella conquista di un mercato estero è l’organizzazione della Logistica. Non bisogna pensare che una volta che si hanno “le commesse” e gli ordini di vendita, il lavoro sia finito qui. Occorre pensare bene ad un servizio di logistica che ci metta in collegamento con il nostro cliente che potrebbe distare da noi diverse migliaia di chilometri. Pertanto è necessario adeguare il nostro servizio di Logistica, organizzarsi in torno ad esso e essere pronti a supportarne le spese.
- Forme di pagamento a tutela della vendita. Un altra buona pratica da adottare quando si esportano beni all’estero, specie fuori dal mercato comune europeo, è quello di tutelare la vendita con adeguate forme di pagamento. Vendere dentro l’Unione Europea tecnicamente non è esportazione ed in questo ambito si è meglio tutelati. Questo suggerimento diventa molto più importante nelle esportazione extra-UE.
Spero che questi 7 consigli siano stati utili, al netto della loro genericità.
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