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pierpaolobacciu

Se vedrai il marchio BE, significa che stai per mangiare bioenginereed food. Sai cos’è?

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Non si chiameranno più OGM ma BE, gli organismi geneticamente modificati in USA. E le novità non finisco qui.

C i sarà tempo fino al 2 luglio del 2018 per la consultazione pubblica negli Stati Uniti con il Dipartimento di Agricoltura USA sulla questione inerente l’etichettatura dei prodotti OGM e derivati (Organismi Geneticamente Modificati).

Questo provvedimento fa molto discutere perché, se si confermeranno negli attuali contenuti, chi vorrà garantire il consumatore sull’assenza di prodotti Geneticamente Modificati, dovrà ricorrere a certificazioni di terze parti. L’etichettatura legale non sarebbe sufficiente a capire quando e se ci sono OGM negli ingredienti degli alimenti.

 Le linee guida sono previste dalla legge federale sull’etichettatura approvata nel 2016 durante la presidenza Obama e le nuove disposizioni dovrebbero entrare in vigore nel 2020.

Queste le linee guida hanno fatto discutere molti i giornali americani e le riviste specializzate del settore in tutto il mondo, a partire dalla denominazione degli ingredienti geneticamente modificati, che non verrebbero più chiamati OGM ed inoltre non conterrebbero l’espressione “geneticamente modificato”.

E già. Perché questa espressione, secondo il governo americano, avrebbe eccessivamente e negativamente segnato i prodotti modificati genericamente, dando loro una sfumatura tenebrosa che allontanerebbe i consumatori.

Questi ingredienti sarebbero invece chiamati “bioenginereed” e sarebbero contrassegnati con il marchio “BE”.

Il Dipartimento dell’Agricoltura ha proposto diverse ipotesi di marchi, di cui molti caratterizzati da un sole che ride. Insomma un modo per “farceli digerire” più volentieri, a discapito della percezione ad oggi avvertita dai consumatori.

Un altro aspetto importante è, inoltre, la metodica con cui saranno identificati gli OGM.

L’identificazione dei prodotti alimentari contenenti ingredienti provenienti da Organismi Geneticamente Modificati, non verrebbe applicata a tutti gli alimenti che sono stati prodotti con ingredienti OGM, ma solo a quelli in cui gli OGM sono rilevabili.

Si apre così il principio che se non si vede, non c’è.

Ciò potrebbe ridurre significativamente il numero di prodotti, perché ne sarebbero esentati, tutti quelli in cui, per la loro caratteristica di lavorazione, la catena di DNA è stata degradata e non è quindi riconoscibile.

Ad esempio, gli alimenti altamente raffinati, come gli zuccheri e gli olii ottenuti da barbabietole e mais geneticamente modificati saranno esentati dall’etichetta BE (bioenginereed)

Inoltre sarebbero esentati dall’etichettatura anche gli alimenti in cui l’ingrediente primario è carne non OGM, come ad esempio un hamburger, anche se contiene altri ingredienti geneticamente modificati, come le salse, o il condimento.

Se verranno riconfermate le attuali linee guida sarà impossibile, in alcuni casi, distinguere i prodotti OGM da quelli privi di OGM.

Del resto gli USA sono dei grandissimi produttori di prodotti OGM.

Cacao: come hanno stabilito l’accettabilità sensoriale dei nuovi prodotti.

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Percentuale di preferenza dei consumatori per ingredienti "regionali".

Profilo sensoriale - gradimento

70%

T ra tutti i prodotti alimentari, uno dei più apprezzati è senz’altro il cacao, con i suoi derivati.

Noto per le sue piacevoli proprietà organolettiche e, sempre più, per i benefici alla salute associati all’elevato contenuto di antiossidanti, l’industria alimentare del cacao sta cercando nuove formulazioni per rendere i prodotti finiti differenti anche per gli ingredienti da unire al cacao.

Sotto questa spinta, in Italia è stato definito il profilo sensoriale di prodotti con cacao ottenuti con tecniche di preparazione tipiche, senza, però, considerare la percezione della qualità organolettica da parte dei consumatori.

In questo contesto, in uno studio recente, effettuato da ricercatori italiani [Salusti et al., 2016], viene definito il profilo sensoriale di nuove formulazioni di tavolette a base di cacao mediante sia un panel di esperti, sia un gruppo composto da 182 consumatori medi.

Per la sperimentazione, sono stati utilizzati 7 prototipi, 5 contenenti mele essiccate di differenti cultivar, tipiche toscane (Mora, Nesta e Ruggine) o di diffusione internazionale (Stayman e Golden Delicious), una con olio extra vergine di oliva e l’ultima con farina di castagne.

La composizione dei prodotti ha come base comune il 70% di massa di cacao, zucchero di canna, vaniglia e burro di cacao. I risultati evidenziano differenze solo minime tra il gradimento degli esperti e quello dei consumatori.

Il panel preferisce i campioni contenenti mele Mora, seguiti da quelli contenenti farina di castagne, mentre i consumatori preferiscono quest’ultimo prodotto, seguito da quelli contenenti mele Mora o Nesta con lo stesso livello di apprezzamento. La tavoletta contenente olio di oliva è stata quella meno gradita in entrambi i casi. Concludendo, lo studio dimostra come nuovi alimenti realizzati con ingredienti autoctoni regionali e nobili presentano un’elevata probabilità di successo tra i consumatori.

Riferimenti bibliografici.

Salusti et al., Atti del VI Convegno Nazionale Società Italiana di Scienze Sensoriali, 30 Novembre – 2 Dicembre 2016, Bologna, 129-134.

E’ obbligatorio, in Italia, indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento degli alimenti in etichetta

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L’obbligo riguarda gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano.

A partire da giovedì 5 aprile, come comunicato dal MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), è scattato l’obbligo di riportare in etichetta sede e indirizzo dello stabilimenti di produzione e confezionamento di prodotti alimentari, come già previsto dal D.Lgs. 145/2017.

Già il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 , aveva normato gli elementi salienti della etichettatura come

  • denominazione,
  • ingredienti,
  • presenza di allergeni,
  • quantità,
  • scadenza,
  • nome del responsabile delle informazioni,
  • paese di origine,
  • istruzioni per l’uso,
  • titolo alcolometrico,
  • dichiarazione nutrizionale.

La precisazione del Ministero non lascia spazio a dubbi in merito all’obbligo di definire in etichetta gli stabilimenti di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari.

I l DECRETO LEGISLATIVO 15 settembre 2017, n. 145 disciplina l’indicazione obbligatoria nell’etichetta della sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 – Legge di delegazione europea 2015.

In caso di inadempienza, sarà sottoposto a una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da 2mila euro a 15mila Euro. Sono previste sanzioni dello stesso importo anche per il caso in cui l’impresa che disponga di più stabilimenti non evidenzi quello effettivo mediante punzonatura o altro segno e sanzioni da mille euro a 8mila euro se non vengono rispettate le modalità di presentazione.

Ecco il nuovo “maledetto” regolamento europeo sul Biologico. Le novità in 6 punti.

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E’ stato approvato con 466 voti a favore (124 voti contrari e 50 astensioni), nonostante il parere negativo di tutti gli europarlamentari italiani, il provvedimento che dal 2021 disciplinerà produzione e commercializzazione dei prodotti BIOLOGICI.

In maniera unanime gli europarlamentari italiani si sono opposti chiedendo norme più restrittive, soprattutto sulla soglia di contaminazione accidentale da prodotti fitosanitari non autorizzati e sulle deroghe concesse all’importazione di prodotti bio da Paesi Terzi. Eppure, in teoria il peso italiano come Paese produttore di Biologico non è secondo a nessuno in Europa, se si considera che l’Italia è prima tra i 28 Paesi dell’Ue per produzione e seconda per superficie coltivata: 1,8 milioni di ettari contro 2 milioni in Spagna, che però produce meno in termini di volumi e sopratutto di valore.

Ci sono voluti 4 anni di negoziati per raggiungere questo accordo, che rimane palesemente insufficiente per le aspettative italiane e per il trend a ribasso in termini di controllo e vigilanza, lasciando campo libero a produzioni “furbescamente biologiche”. Infatti l’accordo offre sufficiente spazio di manovra per quei produttori “a basso costo”, che vogliano aggirare la norma o violarla deliberatamente in considerazione delle tipologie di controllo e dei limiti di residuo che saranno messe in atto. I controlli probabilmente saranno più deboli e prevedibili di quelli di oggi, danneggiando i produttori più virtuosi e intransigenti. Si deve considerare che in generale l’Italia cerca di smarcarsi dalle produzioni a basso costo, tipiche di paesi come la Spagna, aumentando il valore e la qualità dei propri prodotti. Ci si chiede se ci sarà ancora differenza tra biologico e convenzionale.

Occasione persa secondo Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, che ha ricordato che la prossima Commissione Ue avrà ora la possibilità “ di proporre standard di produzione più elevati prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento”.

Anche il presidente di FederBio Paolo Carnemolla, boccia l’accordo sul nuovo regolamento bio nonostante si riconosca lo sforzo compiuto “per migliorare il testo iniziale della Commissione” tenendo in considerazione “alcune delle richieste dei produttori biologici”.

ECCO COSA CAMBIERA’

In base agli accordi ed ai documenti finora presentati il nuovo regolamento sul biologico porterà queste novità:

1) I produttori con aziende di piccole dimensioni potranno aggregarsi e ottenere una certificazione bio di gruppo, riducendo i costi. Una specie di Opzione 2 GlobalGAP, ma per il Biologico.

2) Le ispezioni diventano a cadenza biennale per chi risulta in regola per tre anni di fila.

3) Deroghe semi: potranno continuare a essere usate sementi convenzionali, ma sarà creato un database europeo per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di quelli bio.

4) Ancora un volta si permetterà la produzione biologica promiscua:sarà cioè possibile per le aziende agricole produrre sia in convenzionale che in biologico.

5) Sebbene venga sancito il principio che prodotti bio provenienti da paesi terzi debbano rispettare gli standard europei, (contrariamente a quanto accade oggi, dove è sufficiente avere una certificazione equivalente), esistono molte deroghe a questo principio; soprattutto in caso di accordi bilateri. Alla fine questa tutela potrà essere vanificata nella pratica commerciale, ovvero nella maggior parte dei casi, perché la UE compra già da Paesi produttori di Biologico con cui ha degli accordi bilateri (es. Canada).

6) I prodotti che accidentalmente vengono contaminati da pesticidi non autorizzati nel settore biologico potranno continuare ad avere la certificazione, vanificando, in buona parte, la spinta a mettere in pratica le misure preventive atte ad evitare le contaminazioni accidentali e da effetto deriva, cioè dovute alle attività del vicino.

La parte più criticata è appunto il sistema di garanzia di rispetto dei limiti di residuo di fitofarmaci. I Paesi che, come l’Italia, hanno un regolamento interno che determina la sospensione automatica dei prodotti bio contaminati da prodotti agrofarmaci non autorizzati nel biologico non potrenno impedire la commercializzazione nel proprio mercato di prodotti di altri paesi europei che si comportano diversamente. Questo è un chiaro svantaggio competitivo oltre che, più in generale, una svendita delle garanzie al consumatore.

“Il punto cruciale negativo è poi l’aver eliminato completamente le soglie per i residui di fitofarmaci” ha dichiarato De Castro, che si domanda che differenza ci sia, a questo punto, con l’agricoltura convenzionale. Secondo il vicepresidente della ComAgri “l’accordo finale rappresenta un compromesso al ribasso”.

Le patate francesi: la Qualità semplice

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In Francia l’evoluzione dei sistemi di qualità in ambito agroalimentare si coniuga spesso con la semplicità e praticità dei controlli di qualità lungo la filiera.

I produttori di patate, una commodity con un mercato altamente competitivo, utilizzano i loro sistemi di qualità per differenziare i loro prodotti in segmenti più piccoli di mercato ed esserne i leader.  Vedi il video qui sotto.

Il Manifesto del Lavoro Ben Fatto

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IL MANIFESTO DEL LAVORO BEN FATTO

  1. 1. Qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso.
    2. Nel lavoro tutto è facile e niente è facile, è questione di applicazione, dove tieni la mano devi tenere la testa, dove tieni la testa devi tenere il cuore.
    3. Ciò che va quasi bene, non va bene.
  2. 4. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, grazie al lavoro delle donne, degli uomini e delle macchine.
    5. Un mondo che sa dare più valore al lavoro e meno valore ai soldi, più valore a ciò che sappiamo e sappiamo fare e meno valore a ciò che abbiamo, è un mondo migliore.
    6. Il lavoro è identità, dignità, autonomia, rispetto di sé e degli altri, comunità, sviluppo, futuro.
  3. 7. Il lavoro ben fatto non può fare a meno dell’amore per quello che si fa e del piacere di farlo.
    8. Il lavoro ben fatto non può fare a meno dei diritti, della dignità, della soddisfazione, del rispetto e del riconoscimento sociale di chi lavora, indipendentemente dal lavoro che fa.
    9. Il lavoro ben fatto non può fare a meno dell’etica, della cultura, dell’approccio, del modo di essere e di fare fondati sulla necessità di fare bene le cose a prescindere, in qualunque contesto o situazione.
    10. Il lavoro ben fatto non può fare a meno dei doveri di chi lavora, del suo impegno a mettere in campo in ogni momento tutto quello che sa e che sa fare per fare bene il proprio lavoro, come persona e come componente delle strutture delle quali fa parte, con spirito collaborativo, indipendentemente dal lavoro che fa.

11.
 Fare bene le cose è bello.
12.
 Fare bene le cose è giusto.
13.
 Fare bene le cose conviene.

14.
 Il lavoro ben fatto non è soltanto un modo etico, cooperativo, sociale di pensare e di fare le cose.
15. Il lavoro ben fatto è prima di tutto un modo razionale, utile, conveniente di pensare e di fare le cose.
16. Non importa quello che fai, quanti anni hai, di che colore, sesso, lingua, religione sei. Quello che importa, quando fai una cosa, è farla come se dovessi essere il numero uno al mondo. Il numero uno, non il due o il tre. Poi puoi essere pure il penultimo, non importa, la prossima volta andrà meglio, ma questo riguarda il risultato non l’approccio, nell’approccio hai una sola possibilità, cercare di essere il migliore.

17. Lavoro ben fatto è mettere sempre una parte di te in quello che fai.
18. Lavoro ben fatto è il calore che fai quando fai bene qualcosa, qualunque cosa tu faccia, progettare un ponte, pulire una strada, lavare il pavimento del bar dopo che hai abbassato la saracinesca.
19. Lavoro ben fatto è rispetto di sé, visione, fiducia, voglia di non arrendersi.
20. Lavoro ben fatto è soddisfazione, conoscenza, creatività, potenziale, intelligenza, intraprendenza, connessione, autonomia, innovazione, dedizione, professionalità. Delle persone e delle organizzazioni.
21. Lavoro ben fatto è la qualità che fa muovere un Paese, che lo fa ripartire, che lo sostiene nei suoi percorsi di cambiamento e di sviluppo, che non si accontenta dei casi di eccellenza, che si fa norma, che traduce gli obiettivi in risultati.
22. Lavoro ben fatto è intelligenza collettiva, bellezza che diventa ricchezza, cultura che diventa sviluppo, storia che diventa futuro.

  1. 23. Cogliere e moltiplicare le opportunità è lavoro ben fatto.
    24.  Connettere maestria, creatività e bellezza è lavoro ben fatto.
    25. Mettere a valore il sapere e il saper fare delle persone, la conoscenza esplicita e tacita delle organizzazioni, la cultura e la storia delle città e delle comunità è lavoro ben fatto.
    26. Investire nella scuola, nella formazione, nella conoscenza, nell’innovazione, nella ricerca scientifica è  lavoro ben fatto.
    27. Leggere le relazioni tra le persone e le organizzazioni, e i loro significati, dal punto di vista della conoscenza, è lavoro ben fatto.
    28. Riconoscere il valore delle donne e degli uomini che ogni giorno con il proprio lavoro danno più significato alle proprie vite e più futuro al proprio Paese è lavoro ben fatto.

29. Il cambiamento riguarda tutti.
30. Le singole persone, senza le quali il lavoro ben fatto non può diventare modo di essere e di fare, senso comune, missione condivisa.
31. Le organizzazioni, destinate ad avere tanto più futuro quanto più riescono a connettere il fare con il pensare, ad affermare idee e modelli gestionali in grado di tradurre con più efficacia le idee in azioni e gli obiettivi in risultati.
32. Le classi dirigenti a ogni livello, alle quali tocca ricostruire il nesso tra potere, inteso come possibilità di disporre di risorse e di prendere decisioni, e responsabilità, intesa come necessità di operare nell’interesse generale delle istituzioni e dei cittadini che si rappresentano.

33. Non è tempo di piccoli aggiustamenti.
34. A partire dal lavoro e dal suo riconoscimento sociale va ridefinito il background, la tavola di valori, di riferimenti e di interpretazioni condivise necessari alle famiglie, alle comunità, ai paesi, al mondo, per pensare il proprio futuro in maniera più inclusiva e meno ingiusta.
35. Va ripensata la relazione esistente tra la capacità di innovare, di competere e di conquistare spazi di mercato e il riconoscimento sociale del valore del lavoro, la possibilità che chi lavora abbia una vita più ricca e consapevole.
36. Il sapere, il saper fare, l’apprendimento per tutto il corso della vita sono una componente essenziale non solo dei processi di emancipazione delle persone ma anche della capacità di attrarre e di competere delle imprese, delle PA, dei territori dei diversi Paesi.

  1. 37. Il lavoro ben fatto è il suo racconto.
    38. Il racconto ha origini antiche come le montagne.
    39. Ogni cosa che accade è un racconto.
  2. 40. Raccontando storie ci prendiamo cura di noi.
    41. Connettiamo vite, fatti, eventi.
    42. Diamo senso al trascorrere del tempo.
    43. Ricostruiamo ciò che è successo a vantaggio del significato.
    44. Istituiamo ambienti sensati.
    45. Incrementiamo il valore sociale delle organizzazioni e delle comunità con le quali in vario modo interagiamo.
    46. Attiviamo processi di innovazione e di cambiamento.
  3. 47. È tempo di nuovi Omero, di nuova epica, di nuovi eroi.
    48. È tempo di donne e di uomini che ogni mattina mettono i piedi giù dal letto e fanno bene quello che devono fare, a prescindere, perché è così che si fa.
    49. È tempo di persone normali.
    50. È tempo di fare bene le cose perché è così che si fa.

    51. Siamo quelli del lavoro ben fatto e vogliamo cambiare il mondo.
    52. Nessuno si senta escluso.

Ecco come la tecnologia può affrontare la Siccità.

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L ‘Europa sta affrontando un nuovo periodo di siccità. L’Europa meridionale e sud-orientale, quindi anche l’Italia, è una delle aree dove si prevede il maggior numero di ripercussioni negative in questa stagione agricola 2017.

 L’EUROPA e il Nord Africa sta già affrontando forti aumenti di ondate di calore, diminuzioni di piogge nei mesi chiave per l’agricoltura e portata dei fiumi, che hanno incrementato il rischio di siccità più gravi, di calo dei rendimenti dei raccolti, di perdita della biodiversità e di incremento del rischio di incendi boschivi.

Ove l’acqua è disponibile, come in molte Pianure Italiane bonificate, il problema diventa la disponibilità di acqua di qualità. La salinità delle acque irrigue rende difficile se non impossibile l’irrigazione, sia da pozzo che dagli impianti dei consorzi di irrigazione.

Israele, pioniere anche in questo, ha trovato il modo di produrre acqua a un costo più basso delle tecnologie precedenti con l’impianto di desalinazione più grande al mondo situato a sud di Tel Aviv. L’acqua lì prodotta dai processi di dissalazione è la più economica nel mondo: 58 centesimi di dollaro per metro cubo, cioè 50 centesimi di euro al metro cubo, che significano secondo le stime, dai 300 ai 500 dollari all’anno per nucleo familiare.

Israele dispone di cinque impianti di desalinizzazione soddisfano quasi la metà dei consumi. E l’agricoltura è diventata la più ecologica al mondo.

Ma come hanno fatto?

Gli impianti sono costituiti da grandi silos.  l’acqua del Mediterraneo viene aspirata da tubi giganti, filtrata attraverso «membrane» hi-tech che la trasformano in acqua potabile, ottenendo dei residui salini – la «brina» – che vengono restituiti al mare. È così che Israele ottiene il 20% dell’acqua necessaria alle città che, sommata agli altri impianti simili realizzati a Ashkelon, Palmachim, Hadera e Ashdod – l’unico ancora in costruzione – somma il 40% del fabbisogno nazionale, destinato a diventare il 70% nel 2050.

La risposta alla siccità passa anche attraverso la guerra agli sprechi. Spesso mi capita di visitare aziende agricole che si sottopongono ad ispezioni da parte di auditor come me per acquisire una certificazione volontaria con requisiti ambientali (es. GlobalGAP). Quello che può fare un azienda agricola, al di là di redigere dei Piani di Gestione dell’Acqua a volte troppo pretenziosi ed inconsistenti, è assicurarsi un buona manutenzione ed evitare di sprecare l’acqua. Semplice ed efficace.

In Israele, dove in questo sono maestri, la capacità di riadoperare le acque già usate tocca l’86% del totale – un record assoluto, basti pensare che al secondo posto c’è la Spagna con il 17% mentre gli Stati Uniti sono fermi all’1% – andando a coprire il 55% del fabbisogno totale dell’agricoltura grazie a declinazioni innovative dell’alimentazione a goccia simili a quelle che il padiglione israeliano all’Expo 2015 mise in mostra con i campi verticali.

La riduzione delle perdite è stata invece, dal 2007, del 18% per l’effetto combinato di nuove tecnologie capaci di identificarle in tempo reale e di un maggior autocontrollo da parte dei consumatori. La conseguenza è che una nazione composta al 60% di deserto come Israele, per la prima volta dalla sua creazione, 67 anni fa, non teme la sete nè le guerre per l’acqua, potendo invece trasformare le tecnologie idriche in un ponte di cooperazione verso altri Paesi.

Anche l”Australia, dopo diversi anni di siccità, ha deciso di investire in un grande impianto di desalinizzazione dell’acqua marina,  vicino a Melbourne,The Victorian Desalination Plant, che ha fornito l’acqua per la prima volta nel Marzo di quest’anno lungo il  Cardinia Reservoir.

Desanilizzatori anche nel Mediterraneo

Nel rapporto «Cambiamenti climatici, impatti e vulnerabilità in Europa al 2016», l’Agenzia evidenzia che i cambiamenti osservati nel clima stanno già avendo ripercussioni di ampia portata sull’economia, la salute umana e la biodiversità. Dall’aumento delle temperature all’innalzamento del livello del mare, dallo scioglimento dell’Artico alla riduzione dei ghiacciai alpini, sono già visibili gli effetti del riscaldamento globale, che ha causato anche un aumento degli eventi estremi come le bombe d’acqua e i picchi d’afa. L’uso delle tecnologie sviluppate in Israele e altri Paesi pionieri in questa tecnologia potrà rivelarsi utile anche in Italia, inclusa la Pianura Padana, e nel resto dell’europa mediterranea.

Il segreto della Qualità. Qualcosa da imparare da una piccola azienda

By | Agroalimentare sardo | No Comments

D a ragazzo ho lavorato in campagna con mio fratello e mio padre. Conosco quindi la fatica di chi lavora in piccole realtà dell’agroalimentare, ma ne conosco anche i piccoli piaceri. Uno di questi è sempre stato fare una chiacchierata con Daniele Carbini. Spesso con argomenti impegnativi. Lui, dopo una decina d’anni di brillante lavoro nel settore dell’informativa, laureato in filosofia, è tornato a casa, a Tempio Pausania (Sardegna) per impegnarsi nelle attività del Molino di famiglia.Ci univa la passione per il filosofo Nietzsche e tanti sacchi di crusca e farinetta da caricare.

Purtroppo, a causa del mio lavoro, non passo molto tempo in Sardegna, ma ho avuto l’occasione di osservare il contributo organizzativo e strutturale (non l’unico) dato da Daniele al Molino dove lavora.

Lo porto ad esempio, e condivido con il lettore questo ragionamento, perché penso che qualsiasi Manager, Imprenditore o chi ha a che fare con l’agroalimentare, può trarne vantaggio.

Il Molino Carbini non è certificato: non aderisce a nessun standard in particolare. Il suo Mercato non glielo richiede. Tuttavia ha creato un proprio sistema qualità, non partendo dall’adesione ad una serie di requisiti e richieste, ma dalla vera base fondamentale di un sistema qualità moderno ed efficiente: il modello di business e la proposta di valore.

In questo modo il Molino Carbini, non solo propone qualcosa di nuovo e ben definito: semolati di grano duro provenienti solo ed esclusivamente da frumento sardo; ma vista la natura “di alta qualità”, sta trainando il comparto verso nuovi livelli di efficenza e qualità. Quella vera. Ripudiando l’assurdo concetto che prodotto tradizionale equivalga a prodotto di Qualità, si impegna, in relazione alla relativa forza economica, a fare innovazione, ricerca, irrobustire la filiera e creare delle ottime farine che rendano degli ottimi prodotti da forno. Ma non tanto per dire o per fare quello che maldestramente viene definito “marketing”. Si impegna a creare un mercato per sé, per i propri clienti e fornitori. Fare Marketing con la Qualità e di qualità, nella sua accezione genuina ed originale, significa creare Mercato: per il tuo cliente, per il tuo fornitore e di conseguenza per te.

Il Molino Carbini ci insegna che il fine di un SQ (Sistema di Qualità) non è la Check-List della norma a cui aderire. Ci dimostra che il faro guida deve essere il tuo Modello di Business e ciò che vuoi proporre al tuo Mercato. Ci insegna che tenendo sotto controllo i corretti parametri, misurati oggettivamente, la crescita della Qualità del processo e prodotto è garantita.

Il Modello di Business di tipo B2B e B2C del Molino Carbini ci insegna che se non cerchi di rafforzare la tua filiera, di creare mercato anche per il tuo cliente e per il tuo fornitore, prima o poi corroderai la ricchezza di quel mercato. Se crei ricchezza per il tuo cliente, lui non ti abbandonerà mai.

La Proposta di Valore del Molino Carbini (solo prodotto sardo..di eccellenza) ci insegna che diversificare e distinguersi è il primo passo e che fare della comunicazione ingannevole non paga nel lungo periodo e che dietro alla comunicazione deve esserci serietà, innovazione e cultura. Promettere ciò che puoi mantenere vale soprattutto nel mondo degli affari.

Come hanno fatto tutto questo? Nell’intervista ce lo spiega proprio Daniele Carbini: il “Filosofo Mugnaio”, come è stato definito dallo scrittore Francesco Abate. Io la chiamo Qualità Strategica